The Doors - L.A. Woman

L’ultimo album dei Doors, tenendo a lunga ( e debita) distanza le due mediocri successive esperienze incise da Manzarek e compagni, è anche quello più celebrativo dell’anima blues del gruppo di Venice. In esso sono evidenti i richiami alla musica nera verso cui Morrison nutriva una naturale propensione, un’ammirazione mistico-religiosa, integralista, che spesso sconfinava in un sinestetico divenire parte della propria anima e, se vogliamo, della propria vita artistica e non. Egli, incline all’epica decadente, era affascinato dall’immaginazione e dal rendere arte la propria esistenza. Scelse il blues perchè era la forma più sincera di musica cui affidare la propria creatività, lo scelse anche perchè tramite esso poteva riportare alla luce i fantasmi e le visioni, le paure e le sensazioni di un’epoca antica, di uomini saggi, di disadattati, di gente che lavorava sodo e amava, la vita e le donne, i sogni e le responsabilità.

Al di là di tutte le possibili esegesi della poetica Morrisoniana, è quindi possibile dire che L.A. Woman sia la realizzazione di tutte le massime aspirazioni artistiche di Jim, un letterato, un cinefilo, una rockstar, ma prima di tutto un bluesman.
Sebbene registrato in maniera discontinua e disordinata, il disco si presenta in una forma del tutto compatta, offrendo brani incorniciati come in un trompe d’oeil seicentesco, in cui però, figure del “nuovo mondo” vanno a perdersi in uno sfondo tempestoso, assordate da una pioggia incessante e scrosciante, che dolcemente li assopisce, avvolegendoli in una leggera melodia di piano. Alla fine l’essenza dei Doors è questa, l’essere cavalieri in una tempesta che lentamente sfuma, ma che nella sue scorribande tormenta e lacera l’America, le città, i deserti, una generazione che placidamente li accoglie nei propri fragili castelli di sabbia.
Una delle poche tracce ad affievolire il crescendo di pathos creato dai primi brani smaccatamente blues è Hyacint House, una quasi canzone d’amore, nata come per gioco durante le prove a casa di Ray. In essa, Morrison disegna i pensieri tormentati di un poeta che di li a poco avrebbe lasciato questa realtà, chiudendo “le porte” di un’esperienza sensoriale fuori dal comune, riposandosi nell’immortalità. Con una voce distesa e decisamente austera, Jim sembra davvero soffrire la propria esistenza, in cui nessuno sembra lasciarlo realmente essere ciò che desidera (I need a brand new friend who doesn't bother me, I need a brand new friend who doesn't trouble me), e di cui ormai egli sembra veramente stanco, tanto da sperare di incontrare qualcuno che non abbia più bisogno di lui (I need someone, yeah , Who doesn't need me), e che probabilmente lo accetti semplicemente per quello che è: un uomo. Ancora una volta “la fine” la sua meravigliosa amica, torna ad essere anche l’unica speranza di cui si ammanta il futuro (And I'll say it again. I need a brand new friend : the end). L’inflessione con cui Morrison canta gli ultimi versi, il dettaglio con cui egli accentua il proprio desiderio, in una canzone “minore” dell’intero repertorio dei Doors, è forse uno dei più riusciti colpi di genio del disco, un album blues, fatto di canzoni blues, in cui un uomo canta canzoni tristi di un “profondo sogno blu”.
Pochi giorni dopo la pubblicazione di L.A. Woman, il corpo di Jim verrà trovato privo di vita in una vasca da bagno, a Parigi. Se David fosse stato vivo, forse avrebbe scelto di dipingere lui al posto di Marat, e sul biglietto stretto nella mano del cadavere esanime, avrebbe trovato scritta solo una sola parola: vita.

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