Kaiser Chiefs - Employment

2005. Primo album dei Chiefs, recensione del tutto rinnegata. Ho scoperto che alla fine i Chief sono stati i meno peggio degli ultimi anni. Col secondo disco mi hanno stupito. Forse l'odio per l'eccessiva ondata indie di quell'anno mi fece ascoltare male...boh.



Non ho capito bene la funzione di questa nuova ondata di indie rock. Il problema è che sembra di avere a che fare con band "interscambiabili". E i Kaiser Chiefs potrebbero benissimo suonare un disco dei Mando Diao, o dei Libertines senza che nessuno se ne accorgesse.
I giornali e i ragazzini inglesi ne vanno pazzi, eppure ascoltando "Employment" colpiscono soprattutto, o meglio "solo" i richiami ai soliti Clash, ai Television, e pure un pochino di Smiths e i soliti Oasis (ascoltateli in Na Na Na Na). Modern Way è una bella canzone, cosi come i Predict A Riot (the stylish kid in the riot?), ma davvero non aggiungono nulla a quello che è la scena rock moderna, nessun innovazione a livello vocale, figuriamoci strumentale, eliminati i soliti timidi tentativi di mettere a caso un pochino di elettronica, cosa ne rimane? Un disco ascoltabile, certo, che presterete ad un amico e non vi interesserà riaverlo.

Ah, un'ultima cosa, la vera rabbia tale da scatenare una "riot", dove sta? È rimasta in London Calling?

Stereophonics - Language Sex Violence & Other

Altra recensione del 2005. Direi che ero rimasto deluso dal disco dei "nuovi" Phonics. Ancora adesso non riesco a digerirlo. Peccato!


"Un eccellente disco di rock moderno", e se lo dice l'NME, gli inglesi sono anche capaci di mandare una canzonetta carina come Dakota al n°1 in classifica. Il problema è un altro : ormai Kelly Jones non sa più dove sbattere la testa. Da autore di due godibilissimi album come i primi Word Gets Around e Performance & Coktails, ha giocato a fare prima il piccolo cantastorie acustico in J.E.E.P. e poi il nuovo "black crow" anni '70. Quello che ci piaceva di lui erano le ballatone strappalacrime, e alcune canzoni britpop suonate e interpretate meglio degli amici Oasis, ma adesso siamo proprio alla deriva.

Kelly Jones ha trasformato i suoi Stereophonics in un melenso tentativo di star dietro alle nuove band indie-rock che vanno tanto di moda adesso. Piccole intrusioni di elettronica nelle canzoni, non fanno un grande album, e nemmeno il falsetto alla Bono dei vecchi tempi, pezzi come "Brother", "Doorman", "Devil", "Girl", diciamoci la verità, sono abbastanza noiosi. La vecchia vena compositiva, quella che ci piace, è in un gioiellino inserito a metà album, come "Rewind", in cui un giro di chitarra scopiazzato dai Ride di "Vapour Trail", la voce di Kelly, e la batteria del nuovo arrivato Javier Weyler la fanno da padroni regalandoci una bella atmosfera.

La chiusura del cd, con "Feel", cerca di risollevare la situazione regalandoci un altro brano di grande intensità... ma nulla più.
Come disse il buon vecchio Keith Richards "Ritornate quando avrete più cose da dire".

U2 - Three

Recensione sperduta, ritrovata su debaser, risalente a marzo 2005. Il primo meraviglioso ep degli u2, uscito qualcosa come 30 anni fa. A volte il tempo fa sembrare grandi cose che al momento non lo erano, ma questo disco, così piccolo nella sua durata non può e non deve essere dimenticato. Dai fan degli U2 e dal resto del mondo. Quindi, a futura memoria...


Ci sono tempi che non torneranno mai più. Quando Bono non immaginava nemmeno che vent'anni dopo avrebbe messo un pochino da parte il suo ruolo da rockstar per salvare le balene, gli U2 sfornavano questo primo EP, con la CBS... ed era il 1979. Sono solo 3 canzoni, di cui due : Stories For Boys e Out Of Control verrano riprese e rimaneggiate nell'album d'esordio. Quello che si ha di fronte è un acerbo primo passo verso un'originalità di suoni e testi che i quattro neo-maggiorenni devono ancora trovare. Out Of Control è il manifesto di questo periodo di deriva, del rock e dei primi U2, sonorità del tempo vengono amalgamate senza troppi pensieri : Joy Division (nel successivo album, "A Day Without me" rappresenterà la reazione di Bono al suicidio di Ian Curtis), Sex Pistols, Ramones in primis. Ed è abbastanza godibile sentire l'Explorer di the Edge sparare riff diretti e genuini, ascoltare la parte ritmica di Larry e Adam sorreggere l'intero EP. Può Bono in un disco degli U2 rimanere in secondo piano? Nel 1979 : sì. E non succederà più.

Out Of Control è stata riproposta nel tour del 2000, ma non aveva più ragione di essere, un pò come Daltrey e Townshend che oggi cantano "I Wanna Die Before Get Old": fuori luogo. Three è "tutto quello che la band di Dublino si è lasciata alle spalle". Forse era meglio non dimenticare.

Bryan Ferry - Dylanesque

Poche parole sull dylaniato album di Ferry, recensione del 2007.


Io credo che se avessi solo un briciolo della classe e del carisma di Bryan Ferry sarei già una mezza celebrità. Con un disco registrato in una breve intensa settimana di fine 2006 Bryan ha riletto (lo aveva già fatto parzialmente) classici brani di un Dylan d'annata, aiutato in una traccia meravigliosa , If Not For You, da Brian Eno e supportato dalla band che ha suonato con lui nell'ultimo tour. La cosa che più colpisce di tale riproposizione, oltre all'ormai inconfondibile timbro di Ferry, è la resa levigata e lucida di brani scritti e cantati da un'anima "grezza" e travagliata come è sempre stata quella Dylaniana, contesa tra la brillante genialità compositiva e una genuina vocalità d'altri tempi.
Se devo essere sincero mi aspettavo un disco forse più "mite" anche se non sono rimasto per niente deluso dal risultato!E' sempre bello vedere musicisti che continuano a divertirsi, e in questo caso Bryan lo fa con la consueta flemma di chi sa fare le cose per bene.

Pearl Jam - Vitalogy


Ancora i Pearl Jam, questa volta qualche riga spesa per Vitalogy.


Seattle, per la mia generazione è stata il cortile dell’adolescenza. Avere 12-13 anni adesso è veramente una merda. A volte mi fanno pena tutti quei piccoli mostri che rispondono al telefono con la suoneria della canzone del momento. Ai miei tempi le suonerie non c’erano. A pensarci bene non c’era nemmeno il telefono! E non c’erano gli mp3, non c’era internet, la tv via satellite. No, non era il 1800, era il 1994 e i Pearl Jam erano già al loro terzo disco.

Vitalogy è un disco che sin dalla confezione ti fa capire che vuole e deve essere ascoltato. Vitalogy è un libro, che mi sono portato nelle tasche di una camicia pesante (rigorosamente a quadri grandi) durante le lezioni al liceo. Vitalogy è confusione, è dolcezza, potenza e leggerezza, forse non la migliore, ma sicuramente una delle più belle prove artistiche a tutto tondo dei Pearl Jam.
Definire “intellettuale” la band di Vedder e soci è una forzatura, ma di certo non è possibile inscatolarla e metterla in cantina assieme a tutte le altre band storiche del grunge. Quello che si può dire, è che i Pearl Jam hanno dato una dignità musicale elevata alla corrente dalla quale sono nati, e già da questo terzo disco è evidente come l’evoluzione stilistica e tecnica di questa band sia in pieno svolgimento.

Alla fine diciamocelo, "In Utero" dei Nirvana, poco aggiungeva alla loro breve, leggendaria carriera, ma qui siamo di fronte al tutt’altra storia. Si perché Eddie non avrà la tecnica e l’estensione vocale di Cornell, ma della sua originalità ha fatto una scuola (vedi alla voce Creed). Con gli anni ha raggiunto livelli di intensità emotiva a dir poco strabiliante. Ascoltatelo in Nothingman (una delle più belle canzoni degli anni 90), nella solenne Immortality (dedicata a Cobain), gridate con rabbia i versi di Last Exit, Spin The Black Circle, Not For You.

Vitalogy è la morte di qualcosa, del grunge che non tornerà più, e il germoglio dell’inizio di una nuova vita. Perché troverete soprese inaspettate, una simil-danza indiana alla Doors (Aye Davanita), un’incursione nella follia degli Who di Cowebs And Strange (Bugs), ma soprattutto ascolterete una band che sa veramente suonare, che non ha paura di cambiare rotta e che cerca la propria strada evitando tutte le solite aspettative di critica e pubblico. I testi poi, mai banali, mai scontati, spaziano dalla cupa rabbia di Last Exit ("Let the sun shine burn away my mask / Let the ocean dissolve way my past") alla risoluta speranza di Nothingman ("…he who forgets will be destined to remember"), fino ad arrivare alla sublime Immortality, apologia disperata di un mondo del rock ormai vittima dei soldi ("as privileged as a whore… victims in demani for public show"), mondo cui Kurt Cobain ha ceduto la vita, evitando la “vera morte” ("…cannot stay long… some die, just to live").

Vitalogy è un punto cruciale nella storia di Vedder e soci, troppo caotico, forse, ma senza dubbio una splendida fotografia di una band ancora in corsa (Un album da avere anche per l’artwork, che meriterebbe da solo una recensione, così come le bellissime fotografie di Ament).

Pearl Jam - Pearl Jam

Altra recensione, estate 2006, ultimo disco dei Pearl Jam.


Un avocado tagliato a metà. Uno sfondo blu e il loro nome. Questo è il ritorno di una delle più grandi band mai partorite dall’America. Apro il cd e lo inserisco nel lettore dello stereo. Premo “play”. Non faccio in tempo a prendere il libretto che Cameron, Mc Cready, Ament e Gossard iniziano a liberare la loro energia senza risparmiare un colpo. Vedder come sempre entra ad arricchire il tutto con la sua voce. Rabbiosa, decisa, caotica, inconfondibile. Forse non ero preparato, ma l’energia della band mi coglie alla sprovvista. Life Wasted, World Wide Suicide e Comatose sono una delle sequenze più esplosive dai tempi di Vs e Vitalogy. I buoni vecchi Pearl Jam sono tornati. Genuini e mai banali. Severed Hand continua a convincermi della buona forma del gruppo, Mc Cready è infallibile. Eddie credo si emozioni cantando una delle canzoni più dolci di tutto il disco : Parachutes ( and i don’t want to know your past / but toghter share the dawn / and i wont need / nothing else /cause when we’re dead /we would’ve had it all..) e si indigna per la disoccupazione di chi è “Unemployable”, lamentando “Oh Yeah…so this life is sacrifice!”. E’ a questo punto che mi accorgo che questo album è l’ennesima dimostrazione di come Vedder e soci suonino nella band più figa del pianeta. Gone diventerà un classico, l’incedere della batteria di Matt è quanto di più solenne e delizioso mai ascoltato in un album dei Pearl Jam, questa è la sua canzone. Ma probabilmente è all’undicesima traccia che si nasconde il cuore, il vero cuore di tutto il disco : Army Reserve, in cui Eddie da il meglio di se, e Mike e Stone cavalcano le onde elettriche di un Townshend d’annata. E’ tutto meraviglioso, concluso dall’incipit floydiano di Inside Job, una delle più belle introduzioni mai ascoltate. Vellutata, sognante, semplicemente perfetta per riassumere l’intera opera, tesa a conciliare tra loro i momenti più elettrizzanti con quelli più leggeri, in uno dei dischi più belli della band. Sospesi tra Led Zeppelin, Who, e la storia, Vedder e soci hanno deciso che ci saranno anche loro. Nessuno lo metteva in dubbio. Sarebbe stato così per forza.

The Cult - The Cult

Altra recensione, questa è del 2006...i Cult con l'album omonimo...quello col caprone...tanto per intenderci...



Io credo che questo sia l’ultimo vero album dei Cult. Ad alcuni potrebbe fare schifo. A me no. Sarà perché ho sempre creduto alla buona fede di un mito come Ian Astbury, sarà perché la musica dei Cult è sempre stata così oscura, nascosta, decisamente fuori da ogni controllo che non ha mai smesso di coinvolgermi, ma posso dirlo : amo veramente questo disco. Real Grrrl…i’m lost in your shadow , la chitarra sinuosa di Duffy e la voce morrisoniana di Ian, sono le atmosfere più recondite dell’animo umano. Sacred Life è poi uno dei brani più belli mai scritti da Atsbury,un requiem per i miti scomparsi e trascinati dalle correnti nel fiume dell’arte: Abbie Hoffmann, River Phoenix, Kurt Cobain e Andrew Wood; la vena poetica è poi racchiusa in un verso come “hey, there sister, what is holy in your life? Hey there brother what is sacred in your life?...”. Uno di quei brani per i quali le lodi non possono mai essere abbastanza. La successiva Be Free riporta tutto a ritmi più sostenuti, è puro rock, con Billy a farla da padrone, power chords senza mai fermarsi, in piena libertà “like the birds and the bees…”. La bellezza di Universal You è invece nella poesia, nell’amore antico per ciò che è terreno, per la terra, per l’essenzialità della natura, per una religione “pagana” : “don’t you know i got a pagan heart? I love the Earth, i’m not a preacher!”. Saints Are Down è poi la conculsione più disillusa e malinconica per un disco emozionante, trascinante, poetico. L’ultimo (beyond good and evil non lo considero) disco di una band tanto intensa quanto sottovalutata. Resta il fatto che per me Ian Astbury è una divinità terrena.

Mazzy Star - So Tonight That I Might See

Inziamo una breve "anthology" di vecchie recensioni...spero di ritrovarne parecchie. Riascoltare certi dischi, e rileggere certe idee a volte è davvero appassionante! :)







Hope Sandoval è una di quelle muse che raramente dividono la loro angelica essenza con noi comuni mortali. E quando lo fanno, lasciano un’impronta delicata, deliziosa come un sospiro notturno, uno di quelli che imprigionano la mente, e la pervadono sin quasi ad annullarla. "So Tonight That I Might See" è il secondo disco del duo californiano più cool dello scorso decennio, un disco strano, ammaliante, nato sotto il segno pallido e sfuocato dei Velvet Underground. “Lisergici” potrebbe essere l’aggettivo più idoneo a descrivere i toni vellutati e “ordinatamente caotici” di canzoni come Mary of Silence, uno “spettro” musicale di 6 minuti, in cui si sfiora la litania. Wasted è un etereo post-blues dalle tonalità stanche, così come la lenta e bellissima Blue Light, un viaggio senza partenza né arrivo, tra le onde di un mare sconosciuto, ma blu, come gli occhi e una luce.

La dolcezza della voce della Sandoval, dea post-moderna dei poeti mistici dei nostri tempi, domina ogni brano, tesse le trame di ballad meravigliose come la hit Fade Into You, la strappalacrime Five String Serenade e la Morrisioniana Into Dust, in cui riecheggiano le note opalescenti di The End e i passi silenziosi di una leggenda come quella di Jim e del suo deserto.

Le liriche, altrettanto esasperate da una poesia quantomai visionaria, sono permeate dalla stessa leggerezza delle note e si perdono, sussurrate tra suoni epici di poche corde, ammaliando come un canto di sirena, chi naviga nel loro mare.

David Roback (ex-chitarrista degli Opal) e la Sandoval hanno creato una trilogia mistica, di cui questo è il perno centrale, il più bello, il più psichedelico e “celestiale”.

You go in shadows / You'll come apart and you'll go black / Some kind of night into your darkness / Colors your eyes with what's not there… Fade into you

… giudicate voi…


Love Is Noise.



Oggi, o forse è meglio dire "questa notte" è uscito il nuovo singolo dei Verve. Che finirà in radio, che verrà ascoltato, che farà riparlare di loro.  Love is noise.Posso candidamente affermare che aspettavo questo momento da 10 anni. Anni in cui ho passato gran parte del mio tempo ad aspettare, a fantasticare, a credere in un ipotetico e remoto ritorno. Bene, Love is noise è appena uscito ed io ho comprato un biglietto per Livorno, dato che tra un mesetto suonano lì. Chissà che cosa proverò, che giornata sarà, che canzoni suoneranno. Alla fine non mi importa granchè. Parafrasando Martin Millar : anche se questo singolo non è proprio bellissimo anche se non sarà un gran concerto "saranno i Verve a suonare".
E su questo non si discute.



Riprendere...qualcosa.

Afterhours - Riprendere Berlino

Luce del mattino Luce di un giorno strano
Pensavi di esser perso E cambia il tuo destino

Non sarebbe bello Non farsi più del male
Non sarebbe strano Se capitasse a noi

Anche il paradiso Può essere un’ inferno
Era tutto scontato Finché non sei caduto

Non sarebbe bello Riprendere Berlino
Non sarebbe strano Prenderla senza eroi

Non sarebbe bello Venire ad incontrarti
Senza avere paura Di non ritrovarci mai

Fuori dalla tua porta Fare la cosa giusta
Essere razionali Mentre ti gira la testa

Non sarebbe bello Non farci più del male
Non sarebbe eroico Non essere degli eroi

Non sarebbe strano Essere più leggeri
Non aver paura…

Se capitasse a noi

Se capitasse a noi
Se capitasse a noi
Se capitasse a noi

Da pochi istanti nella lavatrice...

Effettivamente è un sacco che non scrivo.Potrei dire qualcosa di nuovo ma mi riprometto di farlo nei prossimi giorni, stabilendo di riascoltare almeno un certo quantitativo di musica...chissà che non succeda qualcosa di bello! Ho visto i Baustelle a Modena, Bianconi sembrava ancora un dandy emulo di Jarvis anni '90...il concerto è stato bellissimo, l'atmosfera un pò meno, li ho preferiti di gran lunga nel lontano dicembre 2005 in quel piccolo locale di Sestri stipato e decisamente più figo. Per il resto, che c'è di nuovo? Beh ascolto ogni tanto le 2 tracce che il gentile signor Agnelli ci ha svelato del nuovo album degli After, Pochi Istanti Nella Lavatrice è davvero bella...ma trepidamente attendo l'uscita dell'opera...e so che non rimarrò deluso. La Vita va, continua a piovere e ad essere nuvoloso, e io non so se esser triste o meno. "Fingo di esser morto scrivo con lo spray sui muri che la catastrofe è inevitabile."

E bravo Jarvis...ehm.



Mica sono stupido
se esisto a vanvera
coi maiali state chiusi voi(voi),fatelo
un disegno pennarelli di polvere
Mica faccio scandalo
se si drizza in pubblico
questo manganello e non c'è più (più)
un medico
se mi lavo solamente se (se) pagano
E il cielo è blu, lo dici tu
nessuno è blu nessuno più
non c'è (non c'è, non c'è, non c'è) la cura
Cristo Gesù mi salvi tu
la botta è blu dottori blu
mi fai (mi fai, mi fai, mi fai) paura
e il mondo guarda ed io non so
guardare il mondo e prenderlo
se sono triste non lo so,vivo
Mica mi capiscono
se descrivo i missili
quindici anni state chiusi voi (voi),fatela
una barca per andare in America
E il cielo è blu, lo dici tu
nessuno è blu nessuno più
non c'è (non c'è, non c'è, non c'è) la cura
Cristo Gesù non serve più
la botta è blu dottori blu
mi fai (mi fai, mi fai, mi fai) paura
E il cielo è blu, lo dici tu
nessuno è blu nessuno più
non c'è (non c'è, non c'è, non c'è) la cura
la notte si è nera qui
in quattro mi violentano
non ho (non ho, non ho, non ho) paura
e gira il mondo ed io non so
se sono un uomo oppure no

mi chiamo Sergio e come te vivo

Piccole distrazioni.

Fase 1. Dai dai dai!!!! io adoro i Be Your Own Pet! Get Awkward è una bella corsa, una bella scossa, una bella piccola distrazione. Il secondo disco, bello ancora più del primo, energetico, folle, mi fa quasi venir voglia di togliermi 10 anni di dosso ed iniziare a pogare. Anche da solo. Anche contro il muro.
Jemina Pearl, con quella sua voce da ragazzina incazzata, con quell'aria da distruttrice di palchi, con quell'aria punk, i capelli biondi, ha un carisma che prevade prepotentemente in ogni brano. Niente di nuovo, sia chiaro, ma più regolare, più naturale, quasi fosse ordinaria amminstrazione. I Be Your Own Pet ci sanno fare, e senza troppi sforzi hanno registrato un disco che fa saltare, che fa venir voglia di gridare su una Food Fight tiratissima, che fa sorridere su una Becky surreale, e che si chiude con una Beast Whitin al fulmicotone.

Animali di foresta.

Fase 2. Dopo Illegal Tender e The Best Secrets Are Kept, i Louis XIV sono tornati pochi mesi fa, a settembre credo, e io li ascolto adesso in differita. Slick Dogs And Ponies è diverso dall'esordio (o forse è troppo uguale???) e sinceramente mi aspettavo qualcosina di più insomma, su! Va beh, c'è una Sometimes You Just Want To che non mi esce più dalla testa, però... No ma dai alla fine quest'album è noioso. Louis XIV ma che cacchio avete fatto? Dov'è la verve del primo disco? Hopesick è il vostro epitaffio? Grande delusione. Rimandati!

Re decaduti (e pensierosi).

Fase 3. Se cercate su Wikipedia, troverete gli Earth descritti come una "drone metal band". Rinviando a giudizio tale definizione, su cui il mio cervello deve ancora legiferare, ma a quanto pare per me riconducibile ad un metal ambientale di pregevole fattura, The Bees Made Honey Into Lion's Skull è un disco meraviglioso. Un lungo generoso dipinto a tinte noir di un paesaggio desolato, colorato da sconfinate suite che sconfinano nel prog separate tra loro solo per convenzione. Certo, ascoltare quest'album non è semplice. Ma ragionando sulla composizione non si può che restare affascinati. Dopo due distrazioni come i Be Your Own Pet e i Louis ci voleva. Se poi Bill Frisell ha messo le sue corde su alcune tracce del disco allora direi che un buon ascolto è più che garantito.


I droni sulla Terra.

Baustelle - Amen

Direi che ormai è una liturgia. Direi che ormai è una consacrazione. I Baustelle hanno fatto un gran disco, e con "fatto" vorrei intendere proprio l'idea di "costruito", "realizzato", "concretizzato". Amen è un disco forse meno immediato della Malavita, ma più profondo, più ricco di ricerca, di passione. Un disco che cerca Dio in ogni brano, che pretende di dire qualcosa sul mondo, sull'Italia, sulla gente. E come un calderone, le parole bruciano immagini quotidiane di barboni alla stazione, delle puttane nella metropolitana, del piccolo Alfredino caduto nel pozzo, di Charlie inchiodato al suo banco. Sono le storie di un mondo mortale, che come un vecchio film neorealista dipingono quello che ognuno di noi può vedere, o pensare. Francesco Bianconi è un genio, è un dandy, un artista e un vero autore, uno che le parole le sa usare da esteta, un economista dell'arte, prevede la fine del liberismo e adora Baudelaire, che chiedere di più?
E che gli splendidi versi della traccia di chiusura vi facciano pensare :

"Sarebbe splendido. Amare veramente. Riuscire a farcela. E non pentirsi mai. Non è impossibile pensare un altro mondo.
Durante notti di paura e di dolore. Assomigliare a lucertole nel sole. Amare come Dio. Usarne le parole. Sarebbe comodo. Andarsene per sempre. Anda
rsene da qui. Andarsene così. "

Amen.



Francesco Bianconi : burattinaio di parole, sociologo, autore e sì...anche cantante...

Brani migliori : Alfredo, Il Liberismo Ha i Giorni Contati, Colombo, Panico, Andarsene Così.

Forever Young

Scrivo ancora scosso. Scrivo dopo una notte tranquilla. Dall'altra parte dell'oceano, di là in America ieri sera è morto Heath Ledger. E io l'ho saputo appena sveglio. In questo blog non ho mai parlato prettamente di cinema, ma forse questo post merita (purtroppo) di essere scritto. Heath era un grande, un grandissimo attore, uno di quelli di una volta, un istrione, sicuro, pieno di carisma, considerato da tutti una della più grandi promesse del mondo cinematografico, impenetrabile ed eccezionale. Di lui in questi giorni si parlerà molto. Soprattutto di come e perchè sia morto.A me delle dinamiche poco importa. Era giovane, aveva solo 3 anni più di me. Cosa sono alla fine 3 anni? Mi ritorna alla mente il solito breve verso di Bukowsky "i belli muoiono giovani / e lasciano i brutti alla loro brutta vita". E Heath avrà sempre 28 anni, "forever young" come canterebbe Dylan, ha pagato il suo debito con l'immortalità lasciandoci tutti con l'amaro in bocca, lasciandoci tutti a pensare, lasciandoci tutti ad invecchiare con le nostre debolezze e i nostri problemi. "Deponi la tua stanca melodia", buon viaggio Heath...

(Leath Hedger interpreta "Bob Dylan" in I'm not there)



LAY DOWN YOUR WEARY TUNE
words and music Bob Dylan

Lay down your weary tune, lay down,
Lay down the song you strum,
And rest yourself 'neath the strength of strings
No voice can hope to hum.

Struck by the sounds before the sun,
I knew the night had gone.
The morning breeze like a bugle blew
Against the drums of dawn.
Lay down your weary tune, lay down,
Lay down the song you strum,
And rest yourself 'neath the strength of strings
No voice can hope to hum.

The ocean wild like an organ played,
The seaweed's wove its strands.
The crashin' waves like cymbals clashed
Against the rocks and sands.
Lay down your weary tune, lay down,
Lay down the song you strum,
And rest yourself 'neath the strength of strings
No voice can hope to hum.

I stood unwound beneath the skies
And clouds unbound by laws.
The cryin' rain like a trumpet sang
And asked for no applause.
Lay down your weary tune, lay down,
Lay down the song you strum,
And rest yourself 'neath the strength of strings
No voice can hope to hum.

The last of leaves fell from the trees
And clung to a new love's breast.
The branches bare like a banjo played
To the winds that listened best.

I gazed down in the river's mirror
And watched its winding strum.
The water smooth ran like a hymn
And like a harp did hum.
Lay down your weary tune, lay down,
Lay down the song you strum,
And rest yourself 'neath the strength of strings
No voice can hope to hum.

Kathleen Edwards - Back To Me

Il primo disco che recensisco nel 2008, in realtà ha ormai 3 anni. Ed è un gran bel disco.
Kathleen Edwards è canadese, classe 1978, la sua storia è fatta di viaggi, di violino, dischi di Tom Petty, Bob Dylan e Neil Young, un passaporto che non può far altro che evidenziare il territorio in cui Kathleen si dovrà muovere: quell'America spoglia di sogni e ricca di misteri, fatta di fiumi, vaste pianure, foreste, deserti... Un lungo viaggio che ha l'unico scopo di ritornare a casa, che è dove è il cuore, che è nelle proprie radici, nella propria storia. Così la Edwards scrive un disco, il secondo della sua carriera, che sa di un ritorno a qualcosa di confortante e sereno, un disco deciso e consapevole, fatto di suoni e voci che ricordano la sua appartenenza alla scuola di alternative country americano e che allo stesso tempo vuole essere molto di più, andare oltre.
Back To Me, la title track è una sferzata di energia " I've got lights you've never seen / I've got moves I've never used / I've got ways to make you come back to me ", ben diversa dalle più riflessive Pink Emerson Radio, Away o Copied Keys, che forse risentono molto di più degli echi di Ryan Adams e soci. Il brano migliore dall'album l'ha scovato quel bravo regista che è Cameron Crowe, che si è servito di Summerlong per inserirlo nel discreto Elizabethtown con Orlando Bloom e Kristen Dunst. E Summerlong è la traccia che vale l'intero disco, solare e creativo, che lascia intravedere un buon futuro per la Edwards, con un nuovo disco in arrivo tra poche settimane. Io aspetto e poi saprò che dire...

Brani da ascoltare: Summerlong, Back To Me, Pink Emerson Radio, Copied Keys

Un testo:
I know how to play this game
one, two, three and I'm safe
count real slow to five
you couldn't keep me around if you tried

I know how to beat the rage
of my tender age
touch me once in the hall
but don't look back and don't call

There are some things I can hardly say
You've got me feeling a brand new way
Please don't let this be summerlong

I used to play this game
in the middle lane
pass them all on the inside
and don't get caught in a lie

There are some things I can hardly say
You've got me feeling a brand new way
Please don't let this be summerlong
Cuz I want to stay

All the nights and wasted time
trying to get my head to change its mind
all the talk of what it could be
when it never was

There are some things I can hardly say
You've got me feeling a brand new way
Please don't let this be summerlong
Please don't let this be summerlong
Cuz I want to stay

Sito Web: www.kathleenedwards.com